lunedì 28 maggio 2018

La Storia Della Realtà Virtuale: HMD, CAMS, Telefactoring, Telepresenza, DataGlove

Nei primi anni 80 esce Videodrome, film diretto da David Cronenberg.
Max Renn, direttore di un canale di una TV privata, specializzatasi nel genere porno, capta un giorno uno strano programma, in cui si possono vedere torture ed assassini.
E' un tecnico della stazione che riesce nella impresa di trovare le relative immagini, che sono prodotte per il programma intitolato "Videodrome" nel quale figura come conduttore un certo Brian.
Ma Brian (come scoprirà Max) è morto da tempo: è solo un nastro che lo presenta e così, grazie anche alla figlia di costui (Nicky), Max verrà immesso in un delirio di allucinazioni e poi di delitti, dovuti alla dittatura ipnotica che Barry Convex, il direttore di Videodrome, esercita su di lui come su altri.
L'idea di Convex é infatti di manipolare le coscienze con il dominio assoluto del mezzo tecnico.
Proprio sulla scia di questo film, poco dopo iniziano a vedersi negli ospedali, nelle sale giochi e nei centri di ricerche gli "Head Mounted Display": cioè i caschi della realtà virtuale.
In realtà gli ambienti artificiali affondavano le loro radici almeno nei due decenni precedenti grazie ad Ivan Sutherland, Nicholas Negroponte, Alan Kay influenzati da Douglas Engelbart e J.R.C. Licklider (secondo i quali la simbiosi uomo-computer avrebbe influenzato la diffusione dei personal computer che da lì a poco, effettivamente, si diffonderanno in modo capillare).
Addirittura negli anni 50, grazie ad Heilig, venne creato un apparato capace di stimolare più sensi.
Nel 1962 Heiling presentò un prototipo, il Sensorama.
Sensorama consisteva di diverse parti meccaniche.
Gli utenti erano seduti su una sedia che si muoveva insieme alla simulazione, mentre un grande schermo stereoscopico e casse stereo fornivano stimoli visivi e sonori.
Il sistema sfruttava anche di un tunnel del vento per creare effetti d'aria e diffondere profumi.
Il Sensorama si dimostrò troppo in anticipo per il suo tempo e non riuscì ad attrarre investitori.
Non a caso non venne mai portato al termine (rimase come prototipo).
Forse ispirati da Heilig, due ingegneri che lavoravano per la Philco inventarono quello che è considerato sia il primo visore stereoscopico, l'Head Mounted Display (HMD), l'Headsight. Progettato per la videosorveglianza, l'Headsight mostrava video di sicurezza in tempo reale ricevuti da una videocamera installata nelle vicinanze. Usava una singola fonte di luce e un sistema di tracking magnetico per rilevare il movimento e inviare comandi al fine di attivare la videocamera in base a come l'operatore muoveva la testa.
Non si trattava di un dispositivo di realtà virtuale nel vero senso della parola, in quanto le immagini mostrate erano reali, ma sicuramente spianò la strada ai successivi visori VR.
Nel 1965 Ivan Sutherland crea una installazione capace di costruire un "mondo matematico" in cui tutti gli stimoli percettivi di un soggetto possano essere sostituiti con stimoli generati elettronicamente. L’intuizione, relativamente semplice, che sta alla base della scoperta è che una qualsiasi forma geometrica che si possa descrivere matematicamente può esistere entro uno spazio generato da un computer.
È lo stesso Sutherland a realizzare, presso la Utah University, nel 1968, il primo dispositivo per la visione stereoscopica: la famosa "spada di Damocle".
Affine ai simulatori di volo per l’addestramento dei piloti aeronautici (ne erano già stati progettati da Edwin Link per l’esercito americano alla fine degli anni 20), l’installazione di Sutherland prevedeva l’immersione del soggetto in una rappresentazione tridimensionale della realtà generata dal calcolatore.
A fine anni 60, Myron Krueger aveva costruito degli ambienti interattivi che rispondevano ai movimenti e alle azioni degli utilizzatori, il più famoso fu Videoplace (1975).
Krueger parlava di "realtà artificiale".
Videoplace fu un'evoluzione dei vari: Glowflow, Metaplay e Psychic Space.
Esso utilizzava proiettori, videocamere e particolari hardware per "collocare" gli utenti nella realtà artificiale.
Gli utenti, in stanze separate, erano in grado d'interagire tra loro mediante questa tecnologia.
Più precisamente il termine "Cyborg" nacque negli anni 60 grazie alla NASA e alle ricerche spaziali.
Negli anni 70 i CAMS (Cybernetics Anthropomorphous Machine Systems) della General Electric comprendevano manipolatori, pedipolatori, camion deambulanti, sistemi per il "telefactoring" (manipolatori remoti che permettevano di lavorare a distanza su oggetti posti in ambienti pericolosi. Si tratta di un'unità master controllata dall'operatore, un sistema di trasmissione intermedio ed un'unità slave che opera nell'ambiente remoto. Il manipolatore controllato dall'operatore fornisce un'opportuna retroazione, cioè un feedback spaziale, tattile o sensoriale, per simulare la sensazione di operare direttamente sull'ambiente remoto. Insomma non dati numerici ma informazioni "sensoriali". La difficoltà principale risiedeva nel renderli resistenti in quanto dovevano essere adatti ad ambienti particolarmente ostili in termine di T e P).
Negli anni '70 Thomas Furness stava cercando di costruire un cockpit simulato al computer per la U.S. Air Force al fine di far esercitare i piloti dei caccia.
Il lavoro diede i suoi frutti nel 1982 con lo sviluppo del Super Cockpit o VCASS (Visually Coupled Airborne Systems Simulator). 
Era anche chiamato "Darth Vader" perché la maschera che bisognava usare ricordava molto da vicino quella del famoso personaggio di Guerre Stellari.
La NASA costruì inoltre i "Space Horse" che comprendevano arti artificiali e i cui motori captavano segnali elettrici provenienti dal cervello, armi con congegni di puntamento direttamente collegati all'occhio.
Questi apparecchi poi sono stati ulteriormente sviluppati negli anni 80 tramite i sistemi di "telepresenza".
Di cosa si tratta? La telepresenza grazie all’utilizzo di robot consente di essere presente in qualunque posto, in tempo reale.
È dunque una sorta di estensione del corpo che permette di incidere sulla realtà, anche se parecchio distante da dove ti trovi realmente, come se potessimo veramente toccarla.
Grazie alla telepresenza è possibile per esempio tenere una lezione a distanza, eseguire un intervento chirurgico senza essere fisicamente in sala operatoria, ispezionare luoghi pericolosi, sorvegliare la tua abitazione anche se ti trovi in vacanza dall’altra parte del mondo.
Un robot per la telepresenza, nella maggior parte dei casi, si presenta come un tablet su ruote, sorretto da un’asta o un tronco metallico a fare da corpo.
E' possibile connettersi con questi robot da qualunque parte del mondo ed è possibile (oggi) controllarli via Internet.
Sostanzialmente si tratta di sistemi con robot connessi ad Internet e dotati di uno schermo, di altoparlanti e di microfoni. Questo robot viene controllato a distanza da una persona che in questo modo è connessa e presente, anche se non fisicamente, nel posto delle persone con le quali sta interagendo.
Il primo DataGlove (guanto interfacciato con un computer) fu lo Z-Glove della VPL, che compare nel 1985 ed è il risultato del lavoro di Tom Zimmermann.
La NASA creò anche il VIEW (Virtual Interface Environment Workstation).
Il sistema VIEW usava un elmetto per la realtà virtuale stereoscopica.
Le ottiche del sistema erano fornite da LEEP Optics, che in seguito presentò un proprio visore VR noto come Cyberface.
L'interfaccia utente era sostenuta da un sistema di riconoscimento vocale e dall'uso del già citato DataGlove forniti da VPL.
Jaron Lanier a fine anni 80 "fuse" (cioè mise assieme) il casco di Sutherland (1965), il "DataGlove" (1985) di Thomas Zimmerman prodotto per la NASA (come detto si trattava di un guanto che rilevava i movimenti della mano), il suono stereofonico e un nuovo linguaggio di programmazione visivo: tutto ciò per costruire il primi ambiente virtuale.
Fondò inoltre la VPL (Visual Programming Language).
L'idea alla base era di eliminare sequenze di numeri (tastiere), puntatori (mouse) o simboli astratti da digitare per lasciare spazio, semplicemente, ai movimenti del corpo.
Come software l'ambiente utilizzava il reality engine, cioè il motore della realtà: esso era "sensibile" ai movimenti e cambiava gli ambienti attorno a noi (pareti, oggetti, mobili, etc) per farceli percepire come quelli della realtà ordinaria.
Il mondo presentatosi davanti poteva essere simili alla realtà o funzionare secondo leggi fisiche diverse ma appariva al "tatto" come un mondo reale.
Era possibile prendere in mano gli oggetti e spostarli, sentirne il rumore, volare ed ovviamente spostarsi da una stanza all'altra.
Bastava indossare il "guanto del potere" (così veniva indicato in gergo) e il casco per entrare nella "augmented reality".
Cioè come se l'umano utilizzatore fosse connesso ad una macchina (tipo Cyborg).
Nel 1989, intanto, la Mattel aveva ottenuto l’autorizzazione a sfruttare il prototipo di Zimmermann a fini commerciali: il risultato fu un sistema, il Powerglove, sviluppato da Rich Old, che costituisce il primo esempio di strumento di realtà virtuale venduto sul mercato.
Nel 1991 lo stesso Zimmermann e Jaron Lanier (fondatori, insieme a Steve Bryson, della VPL) depositano il brevetto del guanto come un Computer Data Entry And Manipulation Apparatus Method, un dispositivo informatico di input e di manipolazione degli oggetti generati nell’ambiente virtuale creato dalla macchina: in sostanza uno strumento che rileva i movimenti della mano dell’utente e li proietta sugli assi cartesiani dello spazio tridimensionale generato dal computer.
In tempi più recenti, poi, si è iniziato a lavorare al "softwear" (computer indossabile o vestiario computerizzato): occhiali sostituiti da piccoli schermi collegati a telecamere che consentono di vedere costantemente ciò che accade dietro o sopra senza muovere la testa (tasti per prendere appunti, sensori nella maglia che misurano il battito cardiaco, la sudorazione o la velocità dei passi).
Nel 1995 Zimmermann inventò la "Personal Area Network", cioè uno strumento che utilizza una piccola corrente elettrica per inviare messaggi da una parte all'altra del corpo o tra corpi diversi (in modo tale che fosse possibile pagare un venditore, senza usare carte di credito, semplicemente stringendogli la mano).
Tutti i vari Sony Glasstron (1996), Scuba VR (1997), eMagin 7800 (2500), Nintendo Wii Remote (2006), Playstation Move (2009), Xbox Kinetic (2010), Wrap VR1200 (2011), Tobii Eye Tracking (2011), Oculus Rift (2012), Virtuix Omni (2013), Morpheus (2014), Google Cardboard (2014), Samsung Gear VR (2014), Fove (2015), Razer OSVR (2015), Vrvana Totem (2015), Sensict dSight (2015), Oculus CV1 (2015), HTC Vive Pre e Vive (2016)...sono figli di questi innovatori che sperimentarono tra gli anni 60 ed 80.


Per saperne di più: La Storia Dei Dispositivi Indossabili

Nessun commento:

Posta un commento