Per produrre un Bitcoin, ora come ora, viene spesa la stessa quantità di energia elettrica che una famiglia media americana consuma in 2 anni.
La Cina, per risolvere in parte il problema, utilizza l'energia da centrali a carbone (molto inquinanti).
L’estrazione di Bitcoin arriverà a consumare più di 125 terawattora di elettricità entro i prossimi dodici mesi, pari allo 0,6% del consumo mondiale, un livello che i veicoli elettrici non raggiungeranno fino al 2025 (nel 2017 la blockchain di Bitcoin ha consumato 36 terawatt di energia, tanto quanto uno stato come il Qatar).
Bitmain Technologies gestisce invece la più grande server farm al mondo a Erdors, nella Mongolia, otto magazzini in metallo lunghi 100 metri con oltre 25.000 computer dedicati alla risoluzione dei calcoli crittografati, che generano quasi il 4% della potenza di elaborazione nella rete bitcoin globale. L’intera operazione funziona con elettricità prodotta a carbone.
Qualche mese fa il sito di analisi specializzato Digiconomist ha fatto notizia stimando che la rete Bitcoin starebbe consumando tanta energia quanto una nazione come la Danimarca.
In Russia addirittura qualcuno ha provato ad utilizzare centri di ricerca nucleari.
In particolare il VNIIEF di Sarov, città chiusa supersegreta a 370km da Mosca, ha fatto molto parlare di sè negli ultimi giorni.
Qui durante la Guerra Fredda gli scienziati sovietici misero a punto la prima bomba atomica dell’URSS.
Negli anni 60, a Sarov fu progettata la Tsar Bomba, l’ordigno all’idrogeno più potente mai detonato sulla Terra.
Sempre qui venne prodotto il Polonio-210.
Nel 2018 un gruppo di scienziati invece, ha provato a usare il mainframe del centro di ricerca per arricchirsi coi Bitcoin.
La città, nota dal 1946 al 1991 con il nome in codice di Arzamas-16, ospita dal 2011 un supercomputer con una capacità di calcolo superiore ad un petaFLOP, utilizzato principalmente per le simulazioni balistiche.
Una macchina perfetta per provare a generare Bitcoin senza troppa fatica.
La macchina però per ragioni di sicurezza non era mai stata collegata ad Internet e quando i ricercatori hanno tentato di stabilire un collegamento alla rete esterna per riuscire a generare le criptovalute il sistema di sicurezza ha subito rilevato l’anomalia e avvertito gli agenti dell’FSB, i servizi segreti russi, che hanno arrestato gli scienziati.
Con l’aumento del valore delle criptovalute nel corso del 2017 un numero crescente di imprenditori russi si è interessato alle operazioni di mining di Bitcoin e altre monete virtuali.
Il magnate Alexey Kolesnik di recente ha addirittura comprato due centrali elettriche della Russia Centrale con l’intento di destinarle unicamente alla produzione di energia per le sue operazioni di mining.
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