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mercoledì 26 settembre 2018

Si Può Essere Denunciati Per Insulti, Minacce e Diffamazione Sui Social?

Un po' come nella vita reale, anche sui social network esistono reati inerenti diffamazione ed insulti (con qualche differenza però, come vedremo).
Il delitto di diffamazione, previsto all’art. 595 del codice penale dice che: “chiunque comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1032 Euro”.
Inoltre se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena della reclusione va da sei mesi a tre anni con una multa non inferiore a euro 516 (diffamazione aggravata).
Gli elementi che distinguono il reato di diffamazione sono pertanto la comunicazione con più persone, intesa come pluralità di soggetti che siano in grado di percepire l’offesa e di capirne il significato.
Inizialmente non era stato ravvisato la commissione del reato di diffamazione nell’ambito dei social network per la mancata individuazione degli elementi sopra richiamati, come ad esempio l’elemento della “comunicazione con più persone” (pagine), escludendo la diffamazione in quanto il profilo privato di chi diffondeva il messaggio veniva identificato come ambiente virtuale “chiuso” e quindi privo degli elementi della “diffusività”.
La Corte di Cassazione ha ribadito che la pubblicazione di una frase offensiva su un social network rende la stessa accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti con la sola registrazione al social network e pertanto è indubbio che uno degli elementi essenziali della diffamazione venga riscontrato.
Il carattere quindi della diffusività del “profilo”, della “bacheca” e di ogni altro spazio presente sui social network è oramai stato assodato dalla più recenti sentenze della Suprema Corte.

Corte di Cassazione (sentenza n. 50/2017): “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma del codice penale, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando ed aggravando, in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche del social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica”

A differenza del “mezzo stampa”, la giurisprudenza abbia ampliato il concetto di “qualsiasi mezzo di pubblicità”, richiamato nel comma 3 dell’art. 595 del codice penale, includendo la diffusione a mezzo fax, attraverso pubblico comizio, o a mezzo posta elettronica, tra gli strumenti atti a trasmettere dati e informazioni a un numero ampio, o anche indeterminato, di soggetti.
Il reato di ingiuria è puntualmente punito dall’art.594 del c.p.:

"Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi e con la multa  fino a 516 euro. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone"

Dal corollario appare chiaro perché si configuri il reato di ingiuria è necessario che l’offesa sia compiuta alla presenza del soggetto offeso e che lo stesso ne abbia l’effettiva percezione della natura offensiva della pronuncia e/o della scrittura da parte del reo (elemento soggettivo).


MINACCE
Qualche tempo fa la Corte Suprema degli Stati Uniti si è misurata con una questione divenuta sempre più delicata: quella di come interpretare i messaggi contenenti frasi offensive o violente postate su internet.
Il discorso è che in questi casi è sempre difficile distinguere, se il tutto rappresenta una reale minaccia per le persone a cui le frasi sono rivolte, oppure se debba prevalere la difesa del diritto ad esprimersi, protetta dal primo emendamento della Costituzione americana.
Si ricordi il caso di Tara Elonis, che ha fatto arrestare l’ex marito per un messaggio postato su Facebook: "Piega la tua denuncia per abusi e mettila in tasca. È abbastanza spessa per fermare una pallottola?". Un minaccia reale per i legali della donna.
Solo uno sfogo online invece per i difensori dell’uomo.
Frase sicuramente violenta ma basta questo perché la frase costituisca un reato?
L’imputato, davanti ai giudici del tribunale, per motivare le sue parole su Facebook ha spiegato che si trattava di una sorta di «terapia per affrontare un evento traumatico», come quello della separazione dalla moglie. I suoi sostenitori chiedono che il massimo organo giurisdizionale prenda in considerazione «l’unicità» dei social media, in cui ogni giorno milioni di persone riversano le proprie frustrazioni e le proprie ansie, ricorrendo spesso ad un umorismo violento e politicamente scorretto.

"Gli utenti di internet esprimono emozioni alle quali non corrisponde una reale volontà di agire, ma solo la necessità di esprimere una rabbia e una esasperazione momentanee che una volta erano comunicate faccia a faccia tra amici o conoscenti, e che oggi trovano spazio sui social media"

Dunque dire ad una persona 'Ti ammazzo", a seconda del contesto, è passibile di reato.
Tuttavia, il colpevole potrebbe non essere mai punito se il fatto non è stato già ripetuto in passato.
Con una recente riforma, tutti i reati sanzionati con la pena pecuniaria o con la reclusione fino a 5 anni vengono automaticamente archiviati e non si procede più alla punizione del colpevole.
Il reato di minaccia è punito con una multa fino a 1.032 euro. Se però la minaccia è grave, la pena prevede la reclusione fino a un anno. Si tratta quindi di un reato cui si applica tale nuovo trattamento di favore detto 'tenuità del fatto', anche se di competenza del giudice di Pace, come chiarito dalla Cassazione.
Quando il giudice decide di applicare la tenuità del fatto archivia il procedimento salvo che il presunto colpevole voglia andare avanti per affermare la propria innocenza; se il procedimento viene archiviato non si applica la pena.
Non si può applicare la tenuità del fatto se l'indagato o imputato ha già commesso altri fatti che risultano simili per condotta, scopo od oggetto di offesa, se ha commesso un reato che riguarda comportamenti abituali, plurimi o reiterati (ad esempio lo stalking, per il quale il colpevole non potrà ottenere la non punibilità, neanche per una volta) o se è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.


ALTRI ILLECITI
Sui social ci sono altri illeciti (civili e penali), a seconda di cosa ci si macchia.
1) Sostituzione di persona e furto d'identità
2) Usurpazione di titoli od onori
3) Vilipendio (accuse religiose)
4) Infrazione di copyright

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