Certe truffe, tipo l'E-Whore o in generale le cam(più in linea con il soggetto di quest'articolo), hanno fatto la fortuna non solo degli utenti d'internet più smaliziati ma anche di veri e propri truffatori/criminali.
Ad ogni modo grazie ad una sentenza della cassazione depositata l'8 Ottobre 2015, una persona che minaccia di diffondere un video compromettente su Youtube commette un reato di violenza privata.
IL CASO
Il polverone che ha portato a questa storica decisione, nasce da questa storia: un uomo pubblica su Youtube un video contenente pose oscene di una ragazza che conosce.
Minaccia, quindi, continuamente la ragazza di diffonderlo pubblicamente, se non accetta di avere con lui contatti.
L’imputato tiene la giovane donna “letteralmente sotto tiro”, costringendola ad assecondarlo nelle sue richieste.
Denunciato, l’uomo viene condannato in primo e in secondo grado per i reati di violenza privata continuata e trattamento illecito di dati personali.
Decide, pertanto, di proporre ricorso in Cassazione.
La Corte osserva, preliminarmente, che il delitto di violenza privata, consiste nel costringere un altro soggetto a fare, tollerare o omettere qualcosa, ledendo il diritto di quest’ultimo all’autodeterminazione.
Nel caso specifico, l’imputato ha inviato numerose email di minacce concrete alla vittima, utilizzando come “arma di ricatto” un video caricato su Youtube nel quale la vittima appare con la gonna alzata.
In una delle email inviate, in particolare, avverte la vittima che, se continua a bloccarlo e a non rispondere, pubblicherà il video nell’ambiente ristretto di Reggio Calabria, così “ne sparleranno tutti e ti macchierà per sempre”.
Con queste minacce, l’imputato riesce a tenere “sotto scacco” la vittima, costringendola a intrattenere con lui rapporti telematici.
Le minacce di divulgare il video in qualsiasi momento, anche su altri social network, sono concrete, tali da ledere il diritto di autodeterminarsi liberamente della giovane vittima.
Analogamente, la Cassazione conferma la correttezza della condanna dell’imputato per il reato di illecito trattamento dei dati personali.
Non reputa fondate, infatti, le contestazioni di quest’ultimo in merito alla circostanza che il video pubblicato su Youtube non è accessibile agli altri utenti perchè non ha inserito i criteri di ricerca e che ha minacciato la vittima di pubblicare il video su Facebook, proprio perchè consapevole che gli utenti di Youtube non possono avere accesso al video.
I giudici osservano, invece, che la lesione del diritto della vittima alla riservatezza dell’immagine si è concretizzata nel momento in cui l’imputato ha inserito il video che ritrae quest’ultima in pose compromettenti nel circuito di Youtube.
Aggiunge che l’imputato non ha fornito alcuna prova di avere con certezza escluso che altri utenti possano avere accesso al video.
Per tutti i motivi sopra indicati, la Corte di Cassazione, con la sentenza 40356/2015, ha confermato la condanna dell’imputato per i reati di violenza privata e trattamento illecito di dati personali.
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