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venerdì 19 gennaio 2018

Cina, Sud Corea ed USA Fanno Crollare Il Bitcoin (2018)

Le ultime settimane sono state le più nere per le valute virtuali.
Nel giro di qualche giorno il mercato globale è crollato del 40%, un disastro dovuto in parte all’estrema volatilità di questo tipo di valuta ma anche per il panico generato dall’andamento dei mercati asiatici.
Il totale del mercato delle criptovalute è passato da circa 700 miliardi di dollari a poco più di 420 nel giro di 3 giorni: un crollo del 40%.
Bitcoin ha perso poco oltre il 40%, "stabilizzandosi" su poco più di 10mila (dopo essere sceso anche sugli 8mila), una cifra che non veniva raggiunta dallo scorso novembre (a fine dicembre arrivò quasi a 20mila dollari).
Ethereum, la seconda criptovaluta per volume d’affari, ha perso più del 35%, passando da oltre 1.300 dollari a circa 835 dollari (toccando anche i 600).
Ripple è ridiscesa a meno di un dollaro.


CROLLO
Il crollo degli ultimi giorni sta continuando, intervallato da lievi e brevi riprese.
Per i Bitcoin si tratta di un grande crollo a seguito di un aumento abnorme (dicembre 2017), ciò evidenzia che non la bolla non è ancora scoppiata, cioè che il mercato non è collassato: o perlomeno non ancora.
Potrebbe trattarsi di un normale assestamento del mercato, un evento normale dopo la grandissima crescita degli ultimi mesi.
Vista la sua grande volatilità, il mercato delle criptovalute è molto esposto a quello che viene definito «panic selling», cioè quello che succede quando molti investitori vendono per paura di un crollo del valore del proprio bene, contribuendo in questo modo al suo andamento negativo.


CAUSE
In molti attribuiscono il crollo degli ultimi giorni al susseguirsi di notizie dannose per il mercato delle criptovalute, e in particolare alla notizia di una possibile chiusura dei siti di exchange sudcoreani.
La Corea del Sud è infatti il terzo paese al mondo per volume d’affari in criptovalute: la settimana scorsa il ministro della Giustizia ha annunciato la decisione di chiudere i siti di exchange (le motivazioni riguardano soprattutto la volontà dei governi di regolamentare un mercato che finora era stato sostanzialmente ignorato).
La chiusura di questi siti sarebbe un grosso problema per il mercato delle criptovalute, ciò ha causato le ingenti vendite e seguente crollo di valore.
Altre notizie poco rassicuranti sono arrivate anche dalla Cina, che sembra voler sganciarsi dai Bitcoin limitando il settore del cosiddetto “mining” e gli accessi ai siti di exchange.
L'allarme sulle valute virtuali, in Cina, era cominciato già a settembre dello scorso anno, quando la banca centrale assieme ad altre authority cinesi della finanza e di internet aveva deciso la sospensione delle Initial Coin Offerings, un popolare metodo di finanziamento per le startup, e poche settimane più tardi, alla fine di settembre scorso, aveva vietato il trading in Bitcoin sulle tre grandi piattaforme: BTC China, Huobi e OkCoin.
A inizio gennaio, infine, la banca centrale aveva dato l'ordine a livello locale di terminare le operazioni di mining.
Ha influito in questi cali anche la chiusura di Bitconnect, una piattaforma per investire e scambiare Bitcoin, che era sospettata di truffare gli utenti con uno schema Ponzi.
Regolamentazioni di questo tipo rappresentano il rischio principale per ulteriori ribassi perché generano un peggioramento del sentimento di fiducia intorno alle criptovalute.
Ciò provoca il cosiddetto "sell off" (vendita rapida).
Gelo sulle criptomonete anche dagli Stati Uniti dove Sigal Mandelker, vicesegretario al dipartimento del Tesoro con delega a terrorismo e intelligence finanziaria ha bollato le valute virtuali "una minaccia in evoluzione".
Il Dipartimento guidato da Steven Mnuchin sta esaminando 100 piattaforme di scambio e provider di valute virtuali, registrati e non, per "perseguire" chi non rispetta le regole.
Dunque gli Stati Uniti si aggiungono a Giappone ed Australia, ovvero a quei pochi paesi che regolano le attività di pagamento e di scambi delle valute virtuali.

2 commenti:

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