In Cina è stato dimostrato che grazie a satelliti e fibre ottiche è possibile realizzare un collegamento internet globale ultrasicuro (Rete Quantistica) con dati che viaggiano alla velocità della luce.
Il principio si basa sulle leggi che governano il mondo dell’infinitamente piccolo.
La rete quantistica permetterà di aumentare la sicurezza dei dati sensibili trasmessi elettronicamente, come quelli finanziari e medici e permetterà di potersi identificare, con una firma elettronica, in maniera non falsificabile, impedendo furti d’identità.
La crittografia a chiave quantistica utilizza le proprietà di particelle di luce (i fotoni), come la polarizzazione, fondamentalmente per proteggere le informazioni.
Più precisamente, i fotoni sono impossibili da "manomettere", perché se qualcuno prova a intercettarli cambiano stato, rivelando in questo modo che è avvenuta una violazione.
Inoltre l'informazione si distrugge. Pur tuttavia, i segnali quantici su fibra ottica sino a qualche tempo erano limitati a qualche centinaio di chilometri.
Alla base della rete internet quantistica ci sono il sofisticato Micius (utilizzato come ponte per la trasmissione dei dati ultra-sicura), primo satellite cinese sperimentale per le comunicazioni quantistiche (lanciato nel 2016) e le 5 stazioni di Terra del satellite che si trovano a Xinglong, Nanshan, Delingha, Lijiang e in Tibet, a Ngari, che sono state collegate alle reti in fibra ottica metropolitane, di cui fa parte la grande rete tra Pechino e Shanghai, lunga ben 2mila chilometri.
Le prove generali che hanno reso possibile questa tecnologia sono state condotte tra giugno e settembre 2017. Il satellite Micius, infatti, è stato sfruttato per connettere due punti sulla Terra (Cina e Europa) per lo scambio di chiavi ad alta sicurezza: in pratica, il satellite ha eseguito correttamente operazioni tra le due chiavi, riuscendo a trasmette il risultato a una delle stazioni di terra.
È stata trasmessa un’immagine di una dimensione di 5,34 kB da Pechino a Vienna, e una foto di Schrödinger (con una dimensione di 4,9 kB) da Vienna a Pechino.
Inoltre è stata svolta una videoconferenza intercontinentale tra l’Accademia delle scienze cinese e l’Accademia delle scienze austriaca, della durata 75 minuti con una trasmissione dati totale di 2 GB, di cui 560 kbit della chiave quantistica scambiata tra Austria e Cina.
Una rete di questo tipo, a livello globale, permetterà anche di connettere computer quantistici che si trovano in luoghi diversi, in modo da moltiplicarne ulteriormente la potenza di calcolo, e di raccogliere e redistribuire dati forniti da sensori quantistici senza rischio che qualcuno possa intrufolarsi e leggere l'informazione.
LE PRIME INTUIZIONI: IL QUANTUM KEY DISTRIBUTION
Nonostante ciò, l'idea quantistica risale addirittura agli anni 70 quando Stephen Wiesner pensò di servirsi di uno dei principi di base della meccanica quantistica, secondo il quale è impossibile misurare le proprietà di un sistema senza alterarlo irrimediabilmente.
Cosa significa? Mentre un sistema classico assume in generale uno stato definito (una TV, per esempio, può essere accesa o spenta), un sistema quantistico, come un elettrone, si trova di solito in una cosiddetta sovrapposizione di stati (se la TV sfruttasse questi principi e quindi fosse quantistica, potrebbe trovarsi accesa e spenta contemporaneamente).
Per di più, nel momento in cui si esegue una misurazione o si tenta di accedere a un sistema quantistico, questo collassa su uno dei suoi stati (nel momento in cui osserviamo la TV, questa resta accesa o spenta). Lo stesso accade se, per aggirare il problema, si tenta di replicare un sistema quantistico e si esegue la misura sulla sua replica: è il cosiddetto principio del no-cloning quantistico.
In informatica, in virtù della sovrapposizione degli stati, un sistema quantistico può memorizzare più informazioni rispetto a un sistema classico (in particolare al bit, che può assumere solo i valori di zero e uno); inoltre, il principio del collasso del sistema e del no-cloning fa sì che qualsiasi tentativo di accesso ai dati non potrebbe passare inosservato. Charles Bennett, informatico della IBM, riuscì a mettere a punto, nel 1984, un protocollo che rendeva possibile generare una chiave crittografica quantistica condivisa tra due utenti e inaccessibile dall’esterno.
Il protocollo si basava sulla polarizzazione della luce: sostanzialmente, le onde elettromagnetiche possono oscillare su un piano orizzontale o verticale rispetto alla direzione di propagazione, e Bennett riuscì a usare questa proprietà (quantistica) per memorizzare e inviare una chiave crittografica sicura.
Si tratta del cosiddetto principio Qkd, acronimo di Quantum Key Distribution, lo stesso usato da Jianwei per comunicare quantisticamente da satellite a Terra.
Ovviamente si tratta di un sistema ibrido: il messaggio vero e proprio viene scambiato usando protocolli classici (non quantistici), mentre le chiavi per decifrarlo sono generate quantisticamente.
SVILUPPI
L'aspetto più importante, come si sarà capito, riguarda la sicurezza ed è quello che per certi versi è già stato dimostrato sperimentalmente ed è già in uso: sostanzialmente, si tratta di una serie di protocolli con i quali lo scambio di dati (classico, ovvero che avviene su una rete tradizionale, non quantistica) viene protetto da chiavi crittografiche generate quantisticamente, che hanno la proprietà di distruggersi nel momento in cui qualcuno tenti di accedervi.
Il secondo aspetto, ancora in fase di studio, è invece quello relativo alla costruzione di una rete internet propriamente detta, cioè di una piattaforma di condivisione e scambio di informazioni quantistiche, i cosiddetti qubit.
NETWORK QUANTISTICI
La messa a punto di una rete interamente quantistica in cui sia le informazioni che le chiavi sono generate e scambiate con protocolli basati sulla meccanica quantistica, richiede un ulteriore passo avanti. I network quantistici usano infatti i fotoni per criptare le informazioni, rendendo dunque impossibile anche solo provare a violare la chiave di sicurezza come invece accade nei tradizionali meccanismi di crittografia. Che sono sempre meno sicuri proprio all'aumentare delle capacità di calcolo degli attaccanti, i quali spesso usano strutture nascoste distribuite, cioè sottraggono potenza di calcolo da computer zombie compromessi in precedenza.
La comunicazione quantistica funziona invece in modo diverso: invia la chiave di decifrazione privata sfruttando le proprietà quantomeccaniche dei singoli fotoni, cioè nascondendola all’interno della polarizzazione di quelle particelle. Il concetto chiave è quello dell’entanglement, o correlazione quantistica, secondo il quale due (o più) particelle quantistiche possono essere legate intrinsecamente tra loro in modo tale che ogni operazione di misura che si effettua su una di esse si riflette sull’altra.
Esso permette, fatte alcune ipotesi ed assunzione, il trasferimento istantaneo di informazioni.
Cosa significa in ambito informatico? Che se chi riceve il messaggio verifica che lo stato di polarizzazione dei fotoni usati per trasmettere la chiave è alterato, sa da subito e con certezza che la chiave non è sicura perché qualcuno ha tentato di violarla e che il suo interlocutore dovrà fornirgliene una nuova prima di inviare i messaggi criptati, cioè il contenuto vero e proprio del messaggio.
Come funzionerebbe una rete quantistica basata sul principio della correlazione quantistica?
Per comprenderne il funzionamento bisogna fare ancora una volta riferimento ai principi fondamentali della teoria quantistica. Immaginiamo di avere due utenti, Alice e Bob. Alice possiede informazioni memorizzate in un qubit A e vuole inviarle al qubit B di Bob. Per scambiarsi i dati, Alice e Bob devono dotarsi di altri due qubit (che servano da proxy, cioè intermediari) PA e PB tra loro correlati quantisticamente. Alice, a questo punto, correla il proprio qubit A con il proxy PA: di conseguenza, A diventerà correlato anche con PB. In sostanza, Alice esegue una particolare misura contemporanea su A e su PA, condividendone poi il risultato con Bob.
Bob usa questa informazione per manipolare il proprio qubit B e farlo collassare sullo stesso stato del qubit A di Alice. Così avverrebbe il trasferimento d'informazioni (o, per parlare in termini più fantascientifici, del teletrasporto).
Gli scienziati devono però ancora risolvere alcuni problemi pratici legati alla distanza a cui si può produrre questo cosiddetto entanglement-on-demand, dal momento che i segnali quantistici che viaggiano lungo la fibra ottica tendono a essere attenuati esponenzialmente con la distanza percorsa: al momento, il record terrestre di teletrasporto quantistico si attesta su circa un centinaio di chilometri.
Un problema potrebbe essere, a lunghe distanze, proprio quello della decoerenza (cioè piccole perturbazioni potrebbero rendere il sistema inutilizzabile).
In ogni caso, un'Internet quantistica sarebbe in grado di generare entanglement su richiesta tra due utenti qualunque. I ricercatori ritengono che questo implicherà l'invio di fotoni attraverso reti in fibra ottica e collegamenti satellitari. Ma collegare utenti distanti richiederà una tecnologia in grado di estendere la portata dell'entanglement, ritrasmettendolo da utente a utente e lungo punti intermedi.
Nel 2001, Lukin e collaboratori hanno proposto un modo per far funzionare un ripetitore quantistico del genere. Secondo loro usando piccoli computer quantistici, che possono memorizzare qubit ed effettuare semplici operazioni su di essi, possono generare un entanglement tra un qubit in una stazione a monte e uno a valle. Alla fine, l'applicazione ripetuta di questo processo di "scambio di entanglement" lungo il percorso di una rete produrrebbe un entanglement tra due utenti.
Nel 2015, Hanson ha mostrato come costruire un pezzo di una rete collegando due qubit realizzati con impurità di un atomo in cristalli di diamante e separati da una distanza di 1,3 chilometri.
I fotoni emessi dai due qubit viaggiavano verso una stazione intermedia, dove poi interagivano, stabilendo un entanglement. I ricercatori stanno studiando altri modi per costruire e manipolare i qubit, compreso l'uso di singoli ioni sospesi nel vuoto e di sistemi che accoppiano atomi e fotoni che rimbalzano tra due specchi all'interno di una cavità.
Come il sistema dei diamanti ideato da Hanson, questi qubit potrebbero essere usati per costruire sia ripetitori quantistici sia computer quantistici.
La prospettiva di creare un'Internet quantistica sta diventando un problema di ingegneria dei sistemi.
"Da un punto di vista sperimentale, sono state dimostrate varie unità elementari” per le reti quantistiche, afferma Tracy Northup, fisico dell'Università di Innsbruck, Austria, il cui gruppo lavora su qubit in cavità e fa parte della Quantum Internet Alliance di Wehner.
"Ma mettendole insieme in un unico luogo, tutti vediamo quanto sia difficile", afferma Northup.
Nel frattempo, la rete dimostrativa olandese, guidata da Hanson, è andata avanti. Hanson e colleghi hanno migliorato la velocità dei loro sistemi, che nell'esperimento del 2015 hanno ottenuto 245 coppie entangled di qubit per un tempo equivalente a poco meno di 10 giorni.
Un'altra sfida cruciale è stata convertire in modo affidabile i fotoni dalle lunghezze d'onda visibili che escono dai qubit a diamante a quelli più ampie, nell'infrarosso, che possono viaggiare bene lungo le fibre ottiche; questo è un compito arduo, perché il nuovo fotone deve ancora trasportare le informazioni quantistiche di quello vecchio, ma senza la possibilità di clonarlo.
Hanson e soci fanno interagire i fotoni con un fascio laser di lunghezza d'onda più grande.
Questa tecnica permetterebbe ai qubit di essere collegati su distanze di decine di chilometri su fibra.
Entro il 2020, i ricercatori sperano di riuscire a collegare fino a quattro città olandesi, con una stazione in ciascun sito funziona come un ripetitore quantistico.
In caso di successo, il progetto sarebbe la prima vera rete di teletrasporto quantistico al mondo.
Solo il tempo potrà dire se la promessa di un'Internet quantistica si concretizzerà.
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