venerdì 7 febbraio 2020
Le Innovazioni Portate Da MP3.com e I Guai Con Le Majors
L'innovazione che portarono i fondatori di mp3.com fu qualcosa da tramandare ai posteri del web perchè a conti fatti molti servizi di streaming tanto in voga oggi presero spunto da questo sito americano nato nel 1997.
La storia però fu molto tormentata e il sito, per quanto spinto da innovazione e fini leciti, finì in grossi guai con la legge per infrazione di copyright.
Iniziamo col dire che i fondatori furono Michael Robertson e Greg Flores, come parte di Z Company che gestiva filez.com, websitez.com e sharepaper.com.
Flores stava monitorando il traffico di ricerca su filez.com, un motore di ricerca FTP per software, grafica, video e audio e si accorse che all'epoca la parola più ricercata era "mp3" (che per quanti non lo sapessero più o meno all'epoca si stavano diffondendo).
Robertson inviò un'e-mail all'allora proprietario di mp3.com, Martin Paul, per acquistare l'URL.
Il piano aziendale consisteva nell'utilizzare mp3.com per indirizzare più query di ricerca su Filez.com, all'epoca fonte di grandi entrate per l'azienda.
Il traffico del sito crebbe subito con migliaia e migliaia di persone che finivano su quel sito.
Cox Interactive Media investì 45 milioni di dollari acquistando il 10% di MP3.com nel giugno 1999.
MONETIZZAZIONE DEI CONTENUTI: PAY FOR PLAY
Alcuni mesi dopo, le due società lanciarono mp3radio.com, un progetto congiunto destinato a creare mini-siti Web per offrire download di MP3, biglietti per concerti e, infine, per vendere CD agli ascoltatori delle stazioni radio terrestri di Cox.
Nel suo periodo di massimo splendore, mp3.com era la sede Internet di molti musicisti indipendenti, ognuno dei quali aveva un proprio spazio sul sito.
Alla fine del 1999, mp3.com lanciò una promozione che permise agli artisti di monetizzare i loro contenuti sul sito.
Chiamato "Pay For Play" o P4P, utilizzava un algoritmo per pagare ogni artista di MP3.com sulla base del numero di stream e download delle loro canzoni.
Uno staff di esperti esaminava tutti i contenuti prima della pubblicazione per impedire il caricamento di materiale senza licenza.
Al suo apice, il sito conteneva oltre 4 milioni di file audio con oltre 800.000 utenti attivi al giorno su una base di 25 milioni di registrazioni.
Oltre 4 terabyte di dati.
Oggi Spotify, Deezer, etc funzionano così (anche Youtube paga in base agli ascolti/visualizzazioni).
Gli sviluppatori di mp3.com progettarono anche l' infrastruttura Pressplay, successivamente acquistata da Roxio il 19 maggio 2003, per il rilancio di Napster (noto sistema di file sharing chiuso per infrazione di copyright).
MP3.com gestì anche le proprietà musicali di eMusic, Rollingstone.com e Vivendi Universal.
L'infrastruttura tecnologica del sito consisteva di oltre 1500 server basati su processori Intel che eseguivano Red Hat Linux (versioni 5.2–7.2) in cluster con bilanciamento del carico nei data center gestiti da AT&T, Worldcom e l'ormai defunta Exodus Communications.
LE PROPRIE LIBRERIE MUSICALI E I GUAI CON LE MAJORS
I guai per il sito cominciarono il 12 gennaio 2000, quando i proprietari del sito lanciarono l'innovativo servizio "My.MP3.com" che consentì agli utenti di salvare in modo sicuro i propri CD personali e quindi ascoltare in streaming copie digitali dei propri brani (legalmente acquistati appunto tramite la copia fisica del CD).
Ciò permetteva agli iscritti di accedere alla propria musica online.
Se ci pensate oggi, Amazon fa la stessa cosa con la sua libreria Amazon Music (i CD acquistati sul portale con la dicitura "autorip" vengono automaticamente aggiunti alla propria libreria musicale ed è possibile ascoltarli ovunque, senza avere il CD).
L'industria discografica non la vide in quel modo e fece causa a mp3.com sostenendo che il servizio costituiva una duplicazione non autorizzata dei brani e promuoveva la violazione del copyright.
Il giudice Jed S. Rakoff, nel caso Universal Music Group v MP3.com, si pronunciò a favore delle etichette discografiche contro mp3.com perchè permetteva "di duplicare musica per uso commerciale e senza l'autorizzazione del proprietario del copyright".
Anche TVT Records fece causa ottenendo 300mila dollari.
Prima che la società perdesse tutte le cause con le majors finendo in bancarotta, riuscì a trovare un accordo con UMG Recordings pagando 53,4 milioni di dollari, in cambio del permesso di quest'ultima di utilizzare l'intera collezione musicale.
Indebolito finanziariamente, nel maggio 2001 mp3.com venne acquisito da Vivendi Universal (che deteneva l'Universal Music Group) per 5 dollari ad azione (circa 372 milioni di dollari in contanti e azioni).
Jean-Marie Messier, allora amministratore delegato di Vivendi Universal, dichiarò: "L'acquisizione di mp3.com è stata un passo estremamente importante nella nostra strategia di creare una piattaforma di distribuzione e acquisire tecnologie all'avanguardia. Mp3.com sarà una grande risorsa per Vivendi Universal nel raggiungere il nostro obiettivo di diventare il principale fornitore online di musica e servizi correlati".
Le cose non andarono esattamente così: Vivendi ebbe difficoltà a far crescere il servizio e alla fine smantellò il sito originale, vendendo tutte le sue risorse tra cui l'URL e il logo a CNET nel 2003 che provò ad indirizzare il sito seguendo la falsa-riga di download.com.
Una business unit di mp3.com, Trusonic, acquisì le licenze con circa 250.000 artisti e 1,7 milioni di canzoni e provò a rilanciare questi account di artisti (mantenendo in parte la tecnologia di mp3.com).
Dal 2009 il sito si orientò seguendo il modello di Last.fm.
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