Plasmi indotti da Laser ad alta potenza sono ormai utilizzati a livello spaziale (micro-propulsori di satelliti) ed utili a livello esplorativo nello spazio.
Il principio fisico che regola il plasma è che quando una radiazione Laser è focalizzata su un campione (solido, liquido o gas), l’energia della radiazione elettromagnetica si trasforma in eccitazione elettronica.
Se l’energia del Laser supera una certa soglia dipendente dalle caratteristiche del campione e dai parametri del Laser utilizzato, si avrà l’evaporazione e la parziale ionizzazione del campione.
I plasmi indotti da Laser in poche parole sono “gas” di particelle cariche.
Perciò un fascio Laser di breve impulso ed elevata energia focalizzato su un campione converte istantaneamente un elemento finito del campione nei suoi costituenti in fase vapore.
A seguito di ciò, la nube di plasma si espande. Sia l’elevata densità elettronica sia l’elevata temperatura sostengono un plasma che evolve rapidamente attraverso una serie di meccanismi cinetici.
Tramite tecniche spettroscopiche è possibile svolgere analisi chimiche e quant'altro.
Se non si usa un Laser troppo potente la tecnica è, si, micro-distruttiva ma crea solo piccoli solchi nel campione utilizzato (in termini tecnici si parla di "ablazione").
Questo principio è già sfruttato da anni per lanciare satelliti in orbita nello spazio.
Operativo nell’orbita geostazionaria 35.800 chilometri dalla Terra, Eutelsat172B, costruito da Airbus per Eutelsat, è uno dei principali operatori satellitari al mondo, che combina 13 kW di potenza del suo carico utile, con una massa di soli 3.550 kg. Lanciato a bordo di un razzo Ariane 5 da Kourou, nella Guiana francese, il 1° giugno 2017, ha raggiunto con successo l’orbita iniziale attorno alla Terra. I propulsori elettrici hanno guidato il satellite verso la sua posizione definitiva, consumando circa sei volte in meno la massa di propellente utilizzata per un satellite a propulsione chimica.
Esso è utilizzato per fornire servizi di telecomunicazione, banda larga e connettività in volo nella regione Asia-Pacifico.
Nicolas Chamussy, a capo del settore sistemi spaziali di Airbus: "Siamo la prima compagnia ad utilizzare la propulsione elettrica per satelliti di questa dimensione e capacità, consentendone il lancio in totale efficienza. Inoltre, grazie al nostro sistema di progettazione, la strategia operativa e la tecnologia di propulsione al plasma che abbiamo implementato, abbiamo completato il trasferimento in orbita geostazionaria a propulsione elettrica più veloce che mai, condizione che permetterà a Eutelsat di far entrare in servizio il proprio satellite elettrico in tempi record"
Yohann Leroy, responsabile Tecnico di Eutelsat, ha aggiunto: "Eutelsat 172B combina la propulsione elettrica, l’elevata capacità trasmissiva, i bracci meccanici e le tecniche di stampa 3D, il nostro nuovo satellite riflette inoltre la capacità dell’Europa di promuovere l’innovazione per aumentare la competitività del nostro business"
Lo sviluppo di satelliti Airbus Eurostar completamente elettrici è stato supportato da ESA (Agenzia Spaziale Europea) e dalle agenzie spaziali dei paesi europei, in particolare in Francia dal CNES, l’agenzia spaziale francese, nell’ambito del programma PIA (Plan d’Investissements d’Avenir) e nel Regno Unito dall’Agenzia spaziale britannica.
MOTORE ELETTRICO AL PLASMA PER AEREI
Tra i tanti utilizzi del LIBS (o LIPS) al plasma, c'è anche quello di sostituire i motori a carburante con quelli elettrici al plasma.
Si tratta di propulsori al plasma, che come carburante usano l’argon.
In questo motore il gas eccitato cioè il plasma (le cui molecole sono state private di elettroni), viene spinto all'esterno ad alta velocità attraverso un ugello. Per effetto della reazione al getto in uscita la navicella viene spinta in avanti, esattamente come avviene con un motore a combustibile chimico.
Il plasma potrebbe essere prodotto attraverso l'elettricità (prodotta da pannelli solari) o con un reattore nucleare (si avrebbe così plasma ad altissima energia, che darebbe all’astronave una velocità molto elevata).
Questi tipi di motori sono stati studiati e analizzati in laboratorio per decine d’anni, teorizzandone l’utilizzo solamente per spostare satelliti nello spazio.
L'idea, secondo una ricerca di un'università tedesca del 2017, è quella di montare i motori al plasma direttamente sugli aerei.
Grazie a ciò è possibile superare l' altitudine di 30 km raggiunta dai jet più avanzati; con i motori al plasma si potrebbe addirittura arrivare ai confini dell’atmosfera e viaggiare nello spazio aperto.
I motori degli aerei tradizionali generano una spinta miscelando e bruciando aria compressa con del carburante: questa miscela ardente si espande rapidamente ed è espulsa dal motore con forte pressione, spingendo in avanti il corpo a cui è legato come detto.
Invece i motori al plasma usano l’elettricità per generare campi elettromagnetici, che comprimono ed eccitano un gas (come ad esempio l’argon) che viene trasformato in plasma, similmente a ciò che si osserva in una fusione nucleare o all’interno di una stella.
I motori dei jet attuali tendono a funzionare bene a basse pressioni con una sufficiente scorta di gas, quelli al plasma non sono condizionati dalla pressione atmosferica e funzionano ugualmente bene sia alla pressione del suolo che a quella dei limiti dell’atmosfera, con una velocità che arriva a 20 km/s. La spinta dei motori al plasma sarebbe data da micro-scariche elettriche, riuscendo così a muovere un aereo in ogni direzione.
Durante i test di laboratorio di fine 2017 furono utilizzati mini propulsori con un diametro di 80 millimetri, ma questo significherebbe che un aereo dovrebbe montarne circa 10.000.
Un altro problema è legato alla scorta di elettricità necessaria per il volo: per alimentare una stringa di propulsori al plasma occorre così tanta corrente che in pratica l’aereo avrebbe bisogno di una centrale elettrica interna.
Come già detto, secondo i ricercatori, una soluzione potrebbe essere l’installazione di pannelli solari al di fuori dell’aeromobile.
Un altro gruppo di ricerca sta lavorando anche ad un motore ibrido, che combina l’azione del plasma con quella del carburante, cercando un compromesso tra risparmio energetico, miglioramento delle prestazioni e fattibilità del progetto.
IL VASIMR DELLA NASA
A fine 2018, la NASA ha affiancato una compagnia texana, la Ad Astra Rocket, nella realizzazione di un rivoluzionario motore: il VASIMR.
VASIMR è un nuovo motore per l’esplorazione spaziale, acronimo di Variable Specific Impulse Magnetoplasma Rocket. Esso è un propulsone elettromagnetico che renderebbe possibile per un’astronave raggiungere Marte in appena 39 giorni.
Secondo i progetti, il razzo di Ad Astra Rocket viaggerà dieci volte più velocemente di qualsiasi razzo attualmente esistente, utilizzando un decimo del carburante.
Il VASIMR dovrebbe accorciare di mesi il viaggio verso Marte, rendendo la colonizzazione del pianeta rosso sempre più probabile.
Franklin Chang Diaz, astronauta della NASA ed ora CEO di Ad Astra Rockets: "Il VASIMR non è paragonabile ad altri razzi visti in precedenza. Stiamo parlando di un razzo al plasma, il VASIMR non verrà impiegato per lanciare dispositivi, ma sarà impiegato per la ‘propulsione intra-spaziale’, interagendo con oggetti già in orbita"
Il VASIMR surriscalda il plasma, un gas elettricamente caricato, a temperature incredibilmente alte utilizzando onde radio.
Il sistema quindi offre la spinta incanalando il plasma surriscaldato dagli ugelli posteriori del motore.
Il risparmio sarà di milioni di dollari.
In altre parole il sistema spinge il plasma caldo fuori dalla parte posteriore del motore, scatenando una potenza incredibile a un decimo del carburante.
STAMPANTI 3D AL PLASMA
Un'altra applicazione della tecnica sono sicuramente le stampanti a getto di plasma, sviluppate da un team NASA guidato da Ram Gandhiraman.
Stampanti in grado di generare un sottile getto di particelle di semiconduttore su substrati di materiale flessibile ed economico, per esempio stoffa, così da produrre, per esempio, dispositivi elettronici indossabili.
Che genere di dispositivi? Anzitutto sensori progettati per monitorare parametri vitali, per misurare la concentrazione di neurotrasmettitori quali la dopamina e la serotonina, o ancora per rilevare la presenza nell’ambiente di particolari molecole, per esempio l’ammoniaca. Sensori cruciali per la sopravvivenza in ambienti ostili, come appunto quello marziano, ma soggetti a usura.
Il processo di stampa messo a punto dalla NASA è pensato per garantire gli approvvigionamenti anche in assenza di materie prime ad hoc.
"La nostra stampante dovrebbe essere in grado di fabbricare, nello spazio, i dispositivi on-demand facendo uso sia di risorse già presenti su Marte sia di rifiuti o altro materiale di scarto"
Analoga indipendenza dalle scorte anche per quanto riguarda i gas, per esempio l’elio, necessari a generare il flusso di plasma (su Marte dovrebbero essere disponibili nell'atmosfera).
La stessa NASA sta varando anche ad un processo produttivo che utilizza batteri in grado di riciclare, durante le missioni di lunga durata, i metalli necessari all’elettronica per trasformarli nell' "inchiostro" con il quale riempire le cartucce della stampante a getto di plasma.
FISSIONE E FUSIONE NUCLEARE
Se il plasma può farci arrivare su Marte in tempi relativamente brevi, per arrivare più lontano serve altro ad esempio, un propulsore a fissione nucleare, alimentato da elementi radioattivi.
Cioè una piccola centrale nucleare.
Il Rubbiatron è un sistema che prevede l'utilizzo di torio e persino plutonio: questi elementi, bombardati da neutroni a loro volta prodotti dal bombardamento di protoni (generati da un acceleratore di particelle) sul piombo. Il risultato finale è che si produce energia che riscalda idrogeno che, espulso dall'ugello, può arrivare a spingere una navicella a 50 km al secondo.
Perché il Rubbiatron non è mai stato utilizzato rimane un mistero. Dopotutto pochi chili di materiale radioattivo potrebbero bastare per missioni su Marte di un anno con sette-otto mesi di permanenza sul Pianeta.
Il torio rimane altamente radioattivo ed uno dei limiti è che quello polverizzato s'incendia facilmente.
Per via dell' alta disponibilità di uranio e della sua maggiore predisposizione nell'assorbimento di neutroni, quest'ultimo ad esempio rimane preferibile per la costruzione di ordigni nucleari; il vantaggio del torio è che viene smaltito prima ed ha una radiotossicità sul lungo periodo...inferiore (è smaltito molto prima rispetto all'uranio). La disintegrazione d'isotopi instabili produce il radon, gas altamente radioattivo esso stesso.
Il plutonio invece è utilizzato per bombe atomiche e nei reattori nucleari.
Tuttavia per l'inizio di una vera esplorazione dello Spazio servono almeno motori a fusione nucleare, dove a produrre energia sono gli atomi di idrogeno che si fondono insieme, come nelle stelle.
Un progetto (concettuale) della NASA ipotizza che con questa tecnologia un’astronave potrebbe trasportare un carico utile di 150-200 tonnellate a 400 chilometri al secondo, che vuol dire raggiungere Giove in 3 mesi.
ANTIMATERIA
Per andare ancora più in là, nello Spazio, bisogna pensare ai propulsori ad antimateria, ossia motori dove fare annichilire materia e antimateria (cioè particelle identiche alle ordinarie ma con carica opposta), generando energie straordinarie, miliardi di volte quella possibile con gli attuali propulsori chimici.
Con 100 microgrammi di antimateria (prodotta da un acceleratore di particelle) si potrebbe arrivare oltre Plutone...in 50 anni.
EM DRIVE
Em Drive invece è un sistema di propulsione a spinta elettromagnetica.
Quando parliamo di motori a reazione (non quelli delle automobili quindi, che sono pensati per muovere un mezzo su strada) la costante è la terza legge di Newton: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Per andare in avanti, dunque, questi motori propellono qualcosa all’indietro: che sia acqua, nei motori ad idrogetto, aria in quelli degli aerei o i gas di scarico nel caso dei motori spaziali tradizionali. Per funzionare necessitano dunque di carburante, qualcosa da spingere nella direzione contraria a quella desiderata.
Ci sono alternative quali le vele solari ovvero strutture che accelerano le astronavi sfruttando la pressione della radiazione magnetica proveniente dal Sole. Ma i risultati, in termini di velocità raggiungibile e facilità di utilizzo non sono esattamente quelli sperati.
O ancora lo Starshot, il progetto che mira ad accelerare le astronavi da Terra, sparando un raggio laser estremamente potente che funga da sistema di propulsione esterno per l’apparecchio.
L’Em Drive sarebbe invece un motore che non necessita di carburante o fonti esterne di propulsione, capace di produrre una spinta sufficiente per accelerare, fino a raggiungere in tempi accettabili gli altri pianeti del nostro Sistema solare.
Come funziona? Per ora rimane un mistero, anche per il suo inventore, l’inglese Roger Shawyer.
Il dispositivo consiste sostanzialmente in una cavità metallica conica al cui interno vengono fatte rimbalzare delle onde elettromagnetiche.
Un sistema chiuso, da cui non viene emesso nulla che possa giustificare la formazione di una spinta in avanti. Messo alla prova prima da Shawyer nel 1999, e più di recente anche dai ricercatori della NASA, l’Em Drive sembra produrre una leggera spinta in direzione del lato anteriore della cavità.
In sostanza, le onde elettromagnetiche che rimbalzano sull’interno della parete frontale del dispositivo sembrano riuscire a spingerlo in avanti.
Una circostanza impossibile, assicurano i fisici: è come se fosse possibile muoversi spingendosi da soli sulla schiena, o come spostare un automobile colpendo il parabrezza dall’interno. Eppure gli esperimenti svolti fino ad oggi hanno continuato a dare risultati positivi.
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