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domenica 7 aprile 2019

Quando Le Emoticon Ti Trascinano In Tribunale: I Casi

Ideate da un designer nipponico chiamato Shigetaka Kurita e lanciate nel 1999, le emoticon dietro la loro apparenza gioiosa hanno (incredibilmente) portato spesso in tribunale alcuni dei loro utilizzatori.
Cosa? Le emoticon? Le faccine usate su WhatsApp? Su Facebook? Sui social? Certo!
Tra il 2004 e il 2018 infatti, le citazioni delle faccine nelle cause giudiziarie sono aumentate esponenzialmente.
Eric Goldman, professore di diritto della Santa Clara University ha provato a fare il quadro della situazione.
Lo scorso anno, emoji ed emoticon sono state segnalate più di 50 volte.
Nel solo 2018 si è quindi concentrato quasi un terzo delle citazioni complessive.
E nel primo mese del 2019 le faccine sono spuntate in aula già tre volte.
Spesso i giudici decidono di omettere le emoji dai vari casi giudiziari “pensando che non siano rilevanti”.
Basti pensare, ad esempio, a come cambi il tono di una frase aggressiva, se s'include una faccina che ride.
Un caso recente ha riguardato un tribunale dell'area di San Francisco. Negli atti c'era un messaggio diretto di Instagram, indirizzato a una donna e spedito da un uomo accusato di sfruttamento della prostituzione. Il testo non diceva nulla di che: “Teamwork make the dream work”, traducibile con “l'unione fa la forza”.
La frase era però accompagnata da alcune emoji: tacchi a spillo e denaro.
Secondo l'accusa, le icone indicavano l'esistenza di un rapporto economico. Per la difesa potevano invece riferirsi a una relazione amorosa. È stato chiamato a testimoniare un esperto di sfruttamento della prostituzione, che ha confermato come tacchi e soldi siano usati spesso in quell'ambiente per ordinare di “iniziare a lavorare”.
Invece l'icona di una corona, spedita in altri messaggi, significasse il potere del protettore.
L'imputato è stato condannato.
Certo, in questo caso, più probabilmente si trattava di messaggi in codice ma ci sono anche casi più clamorosi.
Nel 2017 infatti, una coppia israeliana è stata condannata a un risarcimento anche sulla base delle emoji. In cerca di una casa in affitto, aveva contattato il proprietario di un appartamento dicendosi “interessata” e pronta a “discutere i dettagli” prima della firma.
Il proprietario aveva dato per fatto l'accordo e sospeso la ricerca di alternative, anche perché il messaggio era accompagnato dalle icone di una cometa, indice e medio in segno di vittoria e da una bottiglia di champagne. Peccato che la coppia, dopo aver rimandato la firma per alcuni giorni, si fosse dileguata nel nulla. È stata condannata perché “le icone trasmettevano grande ottimismo” e indicavano “il desiderio di affittare l'appartamento”.
Qui nessun messaggio in codice, praticamente si è dato un significato alle emoticons.
Il professore della Santa Clara University, oltre a sottolineare l'importanza delle emoji, indica però anche i problemi che ne ostacolano l'utilizzo in tribunale. Per quanto ci sia un “nome ufficiale” per ogni faccina (quello del consorzio Unicode che vara le nuove icone) e quindi un senso originario, spesso il significato si evolve: cambia con l'uso, è gergale, soggettivo e acquisisce sfumature differenti in base al contesto e alle persone che lo utilizzano.
Se non si conoscono i due utilizzatori, risulta difficile stabilire l'ironia o meno di un messaggio.
Basti pensare anche a come cambi un'intercettazione telefonica se ascoltata o trascritta.

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